Sono incappata in un post che ha sollevato dubbi sulla critica negativa di Alda Merini. In sostanza, perché poco circostanziata.
E mi è stato detto (con i toni da gentilissima sconfortata al limite della sopportazione) che non ci ho capito un cazzo perché non mi piace e non sono empatica.
Perché invece non deve esserlo quella positiva? Perché i sofferenti sono bravi perché soffrono e sensibili e naif e quindi ammirevoli PER FORZA?
A me Alda Merini non piace. Non mi piace l’uso mediatico che se n’è fatto. Il costrutto di un personaggio intorno a una persona, qualunque cosa abbia scritto. Lei non vende tanto perché sa scrivere bene, ma perché è stata sovraesposta e qualunque buon marketing farebbe vendere i prodotti più disparati. Ha dalla sua una certa affrettata semplicità che appare tanto sofisticata, una specie di grande ricerca stilistica arrivata all’osso che secondo me non è mai avvenuta.
A me urta l’uso psicologico che si fa della critica. Non c’è nessuno dei criticati (per interposta persona, ovviamente) che abbia il buonsenso di dividere autore e opera. Nessuno. E se viene presa in esame con precisione (perché la vogliono sempre ben circostanziata, ovviamente. Vogliono i critici laureati), si ipotizza snobismo, cripticità, gusti difficili eccetera eccetera.
Non esiste che tu mi critichi male, maluccio, malino. Se vuoi farlo, mi devi dare un buon motivo in carta bollata, controfirmata da Carducci in persona redivivo.
Se invece hai da dire cose belle, sono tutto orecchi.
La poesia in Italia è un bluff continuo, tra autori e lettori (spesso coincidenti). La poesia non esiste o esiste in modi talmente sottili da non essere percettibile. Per questo è tanto facile usarla a proprio piacimento.
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